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album  Il ponte sull’abisso, da Ampezzo a Sauris, sul Lumiei
  Modello realizzato nel 1955 dagli allievi della Scuola “Arti e mestieri” di Ampezzo, riproducente la centina del ponte sul Lumiei. Il modello è ora conservato presso il Municipio di Ampezzo.
 
 

Costruzione del Ponte sul Lumiei, inizio lavori e armatura del ponte, 1930 (foto di Umberto Antonelli, archivio Gli Ultimi, Tolmezzo).


Nel 1913 nacque l’idea di dotare gli abitati di Sauris e Ampezzo di una strada di collegamento, con relativo ponte sul Lumiei (precedentemente i due paesi erano collegati da una strada, due sentieri e una mulattiera). Il ponte fu progettato dall’ing. Tristano Valentinis assieme all’arch. Fior di Udine, i lavori furono eseguiti dai fratelli Annibale e Aurelio Nigris di Ampezzo Carnico. Per la realizzazione dell’opera, la ditta Nigris di Ampezzo acquistò e modificò strutturalmente la centina che tre anni prima era stata impiegata nella costruzione del ponte in pietra della ferrovia del Predil, presso Salcano - oggi in Slovenia.

Definire “impervio” il luogo di realizzazione è un eufemismo, visto che al di sotto della linea di attraversamento della gola si apre un baratro di più di 100 metri (cfr. In Carnia. All’ombra del Tinisa, Numero Unico, pubblicazione a cura dell’Associazione Turistica “Tinisa”, Ampezzo, agosto 1955; cfr. anche Cola e Dri 2008: 269 e 271).

 

Come nasce il ponte sull’abisso

“Scelto il posto da ove s’intende erigere il ponte e segnati sulle rocce circonvicine i capisaldi di livello, alcune squadre d’operai salgono a cordate a scalpellare nella roccia viva le immense superfici d’appoggio o spalle del ponte, il quale non ha certo bisogno di fondazioni, avendo provveduto esuberantemente la natura. Poi si tratta di tendere i primi fili, come fa il ragno attraverso l’abisso. Alcuni operai scendono giù il dirupo portando in spalla pesanti rotoli di corda; guadano le acque spumose e risalgono la parete opposta, sempre con il loro rotolo in spalla e lasciano dietro a sè quel novello filo d’Arianna, parecchi cappi di fune allentata. Sono solidi e tranquilli ex alpini od ex artiglieri da montagna, che negli anni di guerra hanno portato su e giù i dirupi consimili i loro fidi cannoni da 65 con le relative munizioni e trovano quindi cosa naturale portare curcume di fune da 35 mm là dove gli alpinisti portano tutt’al più le loro matassette di corda da 13 mm che, al paragone, si può dire cordino. Quando le due squadre sono in faccia l’una all’altra sui due lati del canalone, si foggiano i loro cavalletti d’attacco per mezzo di solidi tronchi incastrati nelle rocce e incominciano a “tesare” le funi, che salgono a poco a poco dal fondo e si dispongono in catenaria molto allungata attraverso il burrone, fornite di funi minori fissate ad anelli di ferro per il movimento di va e vieni. Per mezzo delle funi di canapa si tendono così attraverso alla voragine veri ordini di cavi d’acciaio della migliore qualità, si capisce, affinchè offrano la maggiore resistenza col minimo di peso; e questi cavi d’acciaio vengono fissati a cavalletti formati con rotaie di ferro, parte infissi nella roccia e parte “annegati” con gettate in calcestruzzo. Questi cavi d’acciaio si dispongono in vari ordini a differente altezza. Il primo ordine fungerà d’appoggio alla centina leggera di legno che sorreggerà a sua volta la centina pesante; un altro ordine di funi, accuratamente parallele e ben livellate, formerà la passerella di servizio, che si otterrà disponendo dei robusti panconi sopra le sei od otto corde parallele. Poi si formerà il ponte di servizio per i carrelli portatori di calcestruzzo per la “betonatura” degli arconi e per gli apparecchi di sollevamento delle travi pesanti della centina di detto arcone. [...] Quando i ponti su fune sono pronti, si cominciano a montare simultaneamente sulle due opposte sponde le travature della centina, che sono state preventivamente tagliate, bucate, numerate in uno spiazzo pianeggiante e che vengono portate sul cantiere in costruzione già collaudate coi loro piastroni di ferro, coi bulloni e tutto l’occorrente, in modo da essere poste in opera col semplice stringersi dei dadi a vite, senza bisogno di ritocchi con l’ascia e senza bisogno di movimenti incomposti, del tutto incompatibili in un lavoro da ragni come quello. Ed ecco fatta l’ammirabile - vorremmo dire, la miracolosa - opera di carpenteria.” (Arduino Berlan, dalle Vie d’Italia del Touring Club Italiano, Aprile 1934).




La Cassa Edile ha prodotto per il Museo un Documentario sull’edilizia friulana dal titolo:

A portata di mano.
Volti, luoghi, storie del mestiere.

Realizzato da Nikam Immagine Video, Udine (2014), a cura di Paolo Comuzzi, Andrea Trangoni, Sabrina Tonutti. Il documentario si articola in una serie di video-interviste a lavoratori, imprenditori edili, insegnanti e Direttori di istituti aventi a che fare con l’edilizia friulana. Le tematiche più salienti affrontate sono: la trasmissione del sapere di mestiere ai giovani; come è cambiato il settore edile nel giro di mezzo secolo; l’emigrazione in edilizia; l’evoluzione tecnologica e normativa; storie personali di mestiere; storia delle fornaci; edilizia idraulica; la lavorazione della pietra; il mosaico; la prefabbricazione; tecniche e materiali in edilizia. Oltre alla video-interviste il documentario propone riprese video realizzate ad hoc e una ricca selezione di materiale filmico/fotografico d’archivio.


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