Il sistema Hoffmann
“Nel 1776 Giorgio Muller sperimenta una struttura composta da sei camere di cottura poste a contatto e collegate l’una all’altra; l’aria calda prodotta dalla combustione nella prima camera passa nella seconda e via via nelle altre scaldando i materiali crudi e ottenendo così un ciclo continuo di cottura dei laterizi. Il sistema Hoffmann, brevettato nel 1858, è sempre basato sul principio di recupero del calore, ma apporta modifiche e miglioramenti al sistema Muller”“[...] terra ghiaiosa, avara,
irrigata dal diuturno sudore,
terra che diede nè pane nè biada
bastante alla fame dei figli. [...]”
(“Salmi in morte di mio padre e di mia madre”, Davide Maria Turoldo)
Di terra e di fuoco: le fornaci
I più consistenti giacimenti di argilla di natura alluvionale in Friuli, presso cui fu naturale che si sviluppassero opifici per la produzione di laterizi, furono, come riportano documenti del XIX secolo, quelli di: “Molinis, Cerneglons, Rivarotta, Pordenone, circondario di Cividale e Udine, [...] le terre refrattarie di Fagagna, Spilimbergo, Jalmicco, Buja, Qualso, Castel Porpetto, San Giorgio di Nogaro” (Alberto Errera 1871, cit. in Piccinno 2001: 21). Come si evince da tale elenco, il Friuli collinare (Buia, San Daniele, Fagagna e Cassacco) è fortemente caratterizzato da estrazione e lavorazione dell’argilla, e ciò, si evince dai ritrovamenti archeologici, sin dall’epoca romana.
Su tutto il territorio friulano numerose erano le fornaci attive in epoca medievale, dal momento che ogni centro abitato di una certa consistenza soleva avere una sua fornace, per una produzione e vendita locale.
In generale, l’industria dei laterizi ha carattere localizzato, sia a causa dell’onere dei trasporti, che della necessità di costruire e fabbriche nei pressi dei giacimenti argillosi, sempre per ragioni di economicità. Molti sono pertanto gli opifici localizzati nelle vicinanze delle cave e di agglomerati residenziali (Guerra 1972: 596).
Nel corso della seconda metà dell’Ottocento, fornaci “moderne” (dotate di impianti che utilizzavano innovative tecniche di cottura, come il fuoco continuo) andarono a sostituire le fornaci provvisorie, a gestione artigianale, precedentemente in uso per laterizi e calce (che, nelle fornaci moderne, invece, erano prodotti in situazioni differenziate) (cfr. Piccinno 2001: 19).
A partire dagli inizi del ’500, i nobili Liruti si affermarono nel settore nella zona di Udine (con due fornaci a Molinis); le loro fornaci ebbero fortuna alterna, ma ancora nel ’700 i due impianti dei Liruti erano in attività (Liliana Cargnelutti 1985).
Tuttavia, sulla produzione delle fornaci pesava il costo della legna per l’alimentazione dei fuochi, necessità a cui diede risposta l’esperienza di Fabio Asquini (1726-1818) a Fagagna. Il conte Asquini, figura esemplare dell’Illuminismo veneto (Preto 1992: 69), corrispondente e amico di Antonio Zanon (che rappresentò per lui una preziosa fonte di informazioni e stimolo per la sperimentazione) fu molto impegnato sia in campo culturale che scientifico. Erano gli anni dell’Encyclopèdie, in cui si diffondeva in Europa lo spirito di trasmissione allargata di una cultura orientata alla pratica e dei principi delle scienze e delle arti. In questo clima, l’Asquini, già impegnato in iniziative di innovazione agraria, si cimentò con successo nell’uso della torba come combustibile a basso costo in edilizia. Consistenti quantità di questo materiale erano presenti nei terreni di proprietà Asquini nella zona a Nord di Fagagna, ed egli decise di estrarlo in modo sistematico per alimentare i forni di cottura di laterizi. Quest’iniziativa si articolò in due fasi: la prima corrispose all’attività di una fornacetta costruita presso la casa dominicale (anni 1769-1779), mentre la seconda, più propriamente imprenditoriale, vide la creazione a Fagagna di un grande centro aziendale, La Nuova Olanda, dedicata alla produzione di mattoni di varie forme e misure, e di calcina. “L’azienda, grazie ai minori costi della torba come combustibile rispetto al legname, riesce a conquistare il mercato” (Alberto Asquini 1992: 10-11), rappresentando, a tutti gli effetti, “l’impianto più attrezzato per la produzione di mattoni e calcina del territorio friulano, elemento che scuote un panorama nel segno di modeste iniziative artigianali” (Morassi 1997: 288).
Nel corso dell’Ottocento, proprio da questo territorio disseminato di fornaci partirà un flusso ingente di uomini, donne e bambini con destinazione altre regioni dell’Impero Austro-Ungarico. Si trattava di un’emigrazione stagionale, dalla primavera all’autunno; in alcuni casi, l’esperienza maturata all’estero permise ai fornaciai di rientro di avviare attività di fornace in Friuli.
Rispetto alla fornace tradizionale di tipo “crauate” (in cui “i pezzi stampati, crudi, venivano accatastati all’aperto a formare una specie ci cupola. La catasta era smaltata di fango, circondata dalle borre cui veniva applicato il fuoco, alimentato poi fino alla cottura dei laterizi”, Gri 1987: 118), uno spartiacque temporale e tecnologico è costituito dall’innovazione introdotta con il forno a “fuoco continuo”, il cosiddetto sistema Hoffmann, brevettato dal suo inventore nel 1858 e introdotto qualche anno dopo a Pasiano di Pordenone da Carlo Chiozza. In Friuli tale forno – che veniva detto “privilegio” (da cui numerosi toponimi) - fu a sua volta sostituito negli anni Sessanta del Novecento dal forno “a tunnel” (“che consentì di ottenere la gestione controllata dell’intero processo attraverso un semplificato procedimento di movimentazione del materiale lungo la galleria, il “tunnel”, appunto, caratterizzata da temperature variabili da zona a zona, ma costanti nel tempo, cfr. Piccinno 2001: 23).
Un territorio ad alta vocazione di fornaci è quello di Buia.
Qui, soprattutto a seguito dell’innovazione del forno a fuoco continuo Hoffmann, si diffusero gli opifici (“privilegi”), uno dei quali fu “La Fornasate”, gestita dalla famiglia Calligaro da metà ‘800 agli anni ’70 del Novecento.A Treppo Grande esiste il Museo delle fornaci.
Fornaci Pattini di Zegliacco
Fornaci di Manzano
La fondazione delle Fornaci di Manzano risale alla fine dell’800, quando il loro nome era “Fornaci B. Cappellari”, per divenire, in seguito, agli inizi del ‘900 “Fornaci C. Rizzani & B. Cappellari” (con 2 stabilimenti, a Udine e Manzano) e, fra le due guerre “Impresa Rizzani”. Successivamente, le Fornaci Riunite di Manzano divennero Spa nel 1969.
In origine, le formaci attingevano all’argilla alluvionale della pianura fra i colli di Manzano e il Torre, materiale che veniva estratto manualmente o con escavatori a tazze, quindi lasciato stagionare sul posto e infine trasportato all’opificio con vagoni decauville prima a trazione animale e poi con motori diesel. La lavorazione era a mani e a macchina, con un forno Hoffmann, che venne demolito nel 1970 per lasciare posto a un più moderno forno a tunnel.
(cfr. Ribezzi, Tiziana 1987, “La lavorazione industriale dei laterizi: le fornaci di Manzano”).A portata di mano.
Volti, luoghi, storie del mestiere.
Realizzato da Nikam Immagine Video, Udine (2014), a cura di Paolo Comuzzi, Andrea Trangoni, Sabrina Tonutti. Il documentario si articola in una serie di video-interviste a lavoratori, imprenditori edili, insegnanti e Direttori di istituti aventi a che fare con l’edilizia friulana. Le tematiche più salienti affrontate sono: la trasmissione del sapere di mestiere ai giovani; come è cambiato il settore edile nel giro di mezzo secolo; l’emigrazione in edilizia; l’evoluzione tecnologica e normativa; storie personali di mestiere; storia delle fornaci; edilizia idraulica; la lavorazione della pietra; il mosaico; la prefabbricazione; tecniche e materiali in edilizia. Oltre alla video-interviste il documentario propone riprese video realizzate ad hoc e una ricca selezione di materiale filmico/fotografico d’archivio.