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“Tutta la categoria dei fornaciai, che tocca la metà del flusso migratorio del Friuli, è implicata nel traffico dei bambini, nello sfruttamento femminile, nella violazione di qualsiasi legge sul lavoro”.
(Micelli 1987: 176)
 

Il sistema Hoffmann

“Nel 1776 Giorgio Muller sperimenta una struttura composta da sei camere di cottura poste a contatto e collegate l’una all’altra; l’aria calda prodotta dalla combustione nella prima camera passa nella seconda e via via nelle altre scaldando i materiali crudi e ottenendo così un ciclo continuo di cottura dei laterizi. Il sistema Hoffmann, brevettato nel 1858, è sempre basato sul principio di recupero del calore, ma apporta modifiche e miglioramenti al sistema Muller”
(Umberto Menicali, I materiali dell’edilizia storica. Tecnologia e impiego dei materiali tradizionali, Roma, NIS, 1992, p. 72).
 
“La vicenda della torba di Fagagna è uno degli esempi più significativi di questo movimento dei “lumi” veneti alla “scoperta del territorio”.
Innanzitutto perchè la sua scoperta si deve alla felice applicazione dello studio razionale degli scritti di un uomo colto del passato: è infatti leggendo e interpretando “alla luce di una fiducia illimitata nella scienza sperimentale” un passo dei ricordi di viaggio del conte Niccolò Madrisio [nel 1718 vedendo le “turbie” dell’Olanda ricordava di averne osservate di simili “nel nostro stesso Friuli in alcuni beni paludosi di Fagagna di ragion della casa Asquini”], che Asquini va alla ricerca della torba nella sua tenuta.
L’amico Antonio Zanon è il suo maestro scientifico: gli suggerisce i più vantaggiosi impieghi del minerale, i metodi e gli attrezzi per l’escavazione già impiegati con successo dagli olandesi e attraverso le sue Lettere si trasforma nel più convinto ed efficace propagandista del nuovo combustibile presso accademie e agricoltori”
(Preto 1992: 71)
 
Terra

“[...] terra ghiaiosa, avara, irrigata dal diuturno sudore, terra che diede nè pane nè biada bastante alla fame dei figli. [...]”
(“Salmi in morte di mio padre e di mia madre”, Davide Maria Turoldo)

Di terra e di fuoco: le fornaci

I più consistenti giacimenti di argilla di natura alluvionale in Friuli, presso cui fu naturale che si sviluppassero opifici per la produzione di laterizi, furono, come riportano documenti del XIX secolo, quelli di: “Molinis, Cerneglons, Rivarotta, Pordenone, circondario di Cividale e Udine, [...] le terre refrattarie di Fagagna, Spilimbergo, Jalmicco, Buja, Qualso, Castel Porpetto, San Giorgio di Nogaro” (Alberto Errera 1871, cit. in Piccinno 2001: 21). Come si evince da tale elenco, il Friuli collinare (Buia, San Daniele, Fagagna e Cassacco) è fortemente caratterizzato da estrazione e lavorazione dell’argilla, e ciò, si evince dai ritrovamenti archeologici, sin dall’epoca romana.

Su tutto il territorio friulano numerose erano le fornaci attive in epoca medievale, dal momento che ogni centro abitato di una certa consistenza soleva avere una sua fornace, per una produzione e vendita locale.

In generale, l’industria dei laterizi ha carattere localizzato, sia a causa dell’onere dei trasporti, che della necessità di costruire e fabbriche nei pressi dei giacimenti argillosi, sempre per ragioni di economicità. Molti sono pertanto gli opifici localizzati nelle vicinanze delle cave e di agglomerati residenziali (Guerra 1972: 596).

Nel corso della seconda metà dell’Ottocento, fornaci “moderne” (dotate di impianti che utilizzavano innovative tecniche di cottura, come il fuoco continuo) andarono a sostituire le fornaci provvisorie, a gestione artigianale, precedentemente in uso per laterizi e calce (che, nelle fornaci moderne, invece, erano prodotti in situazioni differenziate) (cfr. Piccinno 2001: 19).

A partire dagli inizi del ’500, i nobili Liruti si affermarono nel settore nella zona di Udine (con due fornaci a Molinis); le loro fornaci ebbero fortuna alterna, ma ancora nel ’700 i due impianti dei Liruti erano in attività (Liliana Cargnelutti 1985).
Tuttavia, sulla produzione delle fornaci pesava il costo della legna per l’alimentazione dei fuochi, necessità a cui diede risposta l’esperienza di Fabio Asquini (1726-1818) a Fagagna. Il conte Asquini, figura esemplare dell’Illuminismo veneto (Preto 1992: 69), corrispondente e amico di Antonio Zanon (che rappresentò per lui una preziosa fonte di informazioni e stimolo per la sperimentazione) fu molto impegnato sia in campo culturale che scientifico. Erano gli anni dell’Encyclopèdie, in cui si diffondeva in Europa lo spirito di trasmissione allargata di una cultura orientata alla pratica e dei principi delle scienze e delle arti. In questo clima, l’Asquini, già impegnato in iniziative di innovazione agraria, si cimentò con successo nell’uso della torba come combustibile a basso costo in edilizia. Consistenti quantità di questo materiale erano presenti nei terreni di proprietà Asquini nella zona a Nord di Fagagna, ed egli decise di estrarlo in modo sistematico per alimentare i forni di cottura di laterizi. Quest’iniziativa si articolò in due fasi: la prima corrispose all’attività di una fornacetta costruita presso la casa dominicale (anni 1769-1779), mentre la seconda, più propriamente imprenditoriale, vide la creazione a Fagagna di un grande centro aziendale, La Nuova Olanda, dedicata alla produzione di mattoni di varie forme e misure, e di calcina. “L’azienda, grazie ai minori costi della torba come combustibile rispetto al legname, riesce a conquistare il mercato” (Alberto Asquini 1992: 10-11), rappresentando, a tutti gli effetti, “l’impianto più attrezzato per la produzione di mattoni e calcina del territorio friulano, elemento che scuote un panorama nel segno di modeste iniziative artigianali” (Morassi 1997: 288).

Le fornaci della Nuova Olanda
La costruzione della Nuova Olanda prese l’avvio nel 1771 e i nuovi impianti entrarono in funzione nel 1779. Il complesso comprendeva fabbriche con casa per custode, sovrintendente, casa per colono, altra per i fornaciai, stalle, portici, magazzini, mezzadri nobili, e due fornaci da cuocere calcina, mattoni e coppi, e “possesione annessa arativa, prativa e paludosa” in cui si cavano le torbe. Nel suo insieme si presentava come il più attrezzato dell’intero territorio friulano. I forni erano costruiti interamente in muratura e avevano una maggiore capacità produttiva: per ogni cottura si caricavano dai 50 ai 100 carri di sassi e circa 30.000 pezzi di materiali crudi. L’argilla era prelevata nei campi della Battaiana, poco distanti dalle fornaci; una èquipe, composta da un maestro fornaciaio e sei lavoranti, si occupava del suo impasto e della formatura dei singoli pezzi, che poi venivano messi ad asciugare al coperto per alcuni giorni. Quindi si procedeva al carico della fornace: alla base di tutto i sassi, e sopra di questi si accatastavano mattoni, coppi e pianelle. Il fuoco di torba ardeva per 13 - 15 giorni e richiedeva un’assistenza continua, nelle ventiquattr’ore. Ampia era la gamma dei manufatti: vari tipi di laterizi per pavimenti, per muri e pareti, per le coperture, ma anche mattoni da colonna, da pozzo, da griglia, da cornice, ecc. - alcuni eseguiti probabilmente su ordinazione. I sassi calcinati, o “calce viva”, erano venduti a peso e trasportati con carri che portavano poco più di 10 quintali. A destinazione venivano sistemati in una buca appositamente scavata nel terreno presso il cantiere di lavoro e coperti d’acqua. Qui avveniva la trasformazione in “calce spenta” che con l’aggiunta di sabbia era poi utilizzata come malta per le murature.
Il mercato e la contabilità aziendale
Il costo della torba, assai più basso rispetto a quello del legname, consentiva di vendere i materiali prodotti al 5 o al 10 % in meno rispetto ai prezzi di riferimento, che erano allora quelli praticati dalle fornaci dei nobili Liruti, a Villafredda di Tarcento. A ciò si aggiungeva il vantaggio dell’esenzione dalla tassa d’industria, che l’Asquini aveva ottenuto dalle magistrature veneziane, interessate a incentivare l’uso del nuovo combustibile. Le fornaci della Nuova Olanda riuscirono così a conquistare il mercato accaparrandosi la piazza di Udine, ove strapparono alla concorrenza i clienti più importanti: Ospedale Civile, Capitolo del Duomo, Monte di Pietà, Seminario. Gli operai venivano pagati a giornata con un corrispettivo che, a seconda delle varie mansioni, era di 3 lire per i fornaciai, 2 lire e 10 soldi per gli operai, i tagliapietra e i falegnami, 1 lira per i manovali, il fabbro a seconda del lavoro eseguito. La paga era versata parte in contanti e parte in natura (vino, frumento e granturco). Si tenga presente che il vino comune valeva allora circa 3 soldi e 5 piccoli al litro e quindi la giornata di 2 lire e 10 soldi valeva l’equivalente di 14 litri e mezzo di vino.
Fagagna e le fornaci "a fuoco continuo"
Nei primi anni del ‘900, nella parte più a Nord del territorio comunale fagagnese, furono costruite altre due fornaci, molto più evolute rispetto a quelle settecentesche della Nuova Olanda. Consistevano in una serie di camere di cottura disposte circolarmente una accanto all’altra e alimentate in successione “a fuoco continuo” secondo il sistema brevettato in Germania da Hoffmann. La prima fu costruita dai fratelli Pecile (soprannominati fetar per l’odore che emanava dalla loro conceria in paese) in società col fornaciaio buiese Pietro Savio, situata presso la strada che porta a Maiano. Iniziò la sua attività nel 1901 e si chiuse poco dopo il 1924. L’altra fu realizzata da Fabio Asquini, discendente dell’omonimo costruttore della Nuova Olanda, in società col cav. Luigi D’Orlandi, col progettista ing. Mario Danieli e con Giulio e Pasquale Burelli. Era situata presso la strada che porta a Caporiacco, ove ora si trova l’ingresso all’“Oasi dei Quadri”. La ditta si chiamava SFAC (Società Fornaci Asquini e Compagni) ed era dotata di moderne attrezzature meccaniche sia per l’escavazione, il trasporto e l’impasto dell’argilla, che per la formatura dei materiali crudi. La sua attività, iniziata nel 1910, continuò fino agli anni ‘50 del secolo scorso.
(Testi a cura del Museo della Vita Contadina "Cjase Cocèl” di Fagagna, per la Mostra Muradôrs a Feagne, 2014).
La torba, Fagagna e l'Olanda

Nel corso dell’Ottocento, proprio da questo territorio disseminato di fornaci partirà un flusso ingente di uomini, donne e bambini con destinazione altre regioni dell’Impero Austro-Ungarico. Si trattava di un’emigrazione stagionale, dalla primavera all’autunno; in alcuni casi, l’esperienza maturata all’estero permise ai fornaciai di rientro di avviare attività di fornace in Friuli.

Rispetto alla fornace tradizionale di tipo “crauate” (in cui “i pezzi stampati, crudi, venivano accatastati all’aperto a formare una specie ci cupola. La catasta era smaltata di fango, circondata dalle borre cui veniva applicato il fuoco, alimentato poi fino alla cottura dei laterizi”, Gri 1987: 118), uno spartiacque temporale e tecnologico è costituito dall’innovazione introdotta con il forno a “fuoco continuo”, il cosiddetto sistema Hoffmann, brevettato dal suo inventore nel 1858 e introdotto qualche anno dopo a Pasiano di Pordenone da Carlo Chiozza. In Friuli tale forno – che veniva detto “privilegio” (da cui numerosi toponimi) - fu a sua volta sostituito negli anni Sessanta del Novecento dal forno “a tunnel” (“che consentì di ottenere la gestione controllata dell’intero processo attraverso un semplificato procedimento di movimentazione del materiale lungo la galleria, il “tunnel”, appunto, caratterizzata da temperature variabili da zona a zona, ma costanti nel tempo, cfr. Piccinno 2001: 23).

I forni Hoffmann in Friuli
L’introduzione in Friuli di forni che utilizzavano il sistema Hoffmann comportò la razionalizzazione dei processi di lavorazione e un aumento della produttività (si veda: Ribezzi 1987: 135). Dalla ricerca di Tiziana Ribezzi emerge che nel 1890 in Friuli fossero in funzione i forni Hoffmann di:
  • Società Veneta per imprese e costruzioni pubbliche (Pasiano di Pordenone): 2 forni Hoffmann
  • Ditta Armellini-Capellari e soci (Tarcento): forno Hoffmann a 12 scompartimenti
  • Ditta Candido e Nicolò fratelli Angeli (Treppo Grande): forno Hoffmann
  • Fornaci di Rubignacco (Cividale del Friuli): forno Hoffmann a 14 scompartimenti
  • Ditta Minciotti e Pillan (Camino al Tagliamento): forno Hoffmann a 14 scompartimenti
Ribezzi riporta inoltre come da altra fonte si evinca la seguente lista di fornaci in attività nel 1903, periodo in cui ne erano attive ben 160 con 3000 addetti:
Fornaci di Pasiano
  • Ditta Chiabai-Vanelli e Bearzi in Bagnaria Arsa
  • Ditta Rizzani e Cappellari di Udine
  • Ditta Rizzani e Cappellari di Manzano
  • Ditta Calligaro e Nicoloso di Buia
Fornaci di Rubignacco-Cividale
  • Ditta Fratelli Vuga di Torre di Pordenone
  • Ditta Ugo Foghini di S. Giorgio di Nogaro
  • Ditta E.Chiaradia di Caneva di Sacile
(cfr. Ribezzi 1987: 137)

Un territorio ad alta vocazione di fornaci è quello di Buia.

Qui, soprattutto a seguito dell’innovazione del forno a fuoco continuo Hoffmann, si diffusero gli opifici (“privilegi”), uno dei quali fu “La Fornasate”, gestita dalla famiglia Calligaro da metà ‘800 agli anni ’70 del Novecento.
Dalla terra al mattone:
tempi, gesti, luoghi, attrezzi
L’attuale processo di lavorazione dei mattoni consta delle seguenti fasi:
  • Prelavorazione dell’argilla, fino allo stoccaggio nel silos (l’argilla passa dal cassone dosatore nel disintegratore, poi alla molaccia, al laminatoio sgrassatore e quindi, prima del silos, al laminatoio finitore);
  • Lavorazione e formazione dei mattoni (grazie alla mattoniera);
  • Essicazione;
  • Cottura (forno a tunnel);
  • Imballaggio e carico.

A Treppo Grande esiste il Museo delle fornaci.

Fornaci Pattini di Zegliacco

Fornaci di Manzano

La fondazione delle Fornaci di Manzano risale alla fine dell’800, quando il loro nome era “Fornaci B. Cappellari”, per divenire, in seguito, agli inizi del ‘900 “Fornaci C. Rizzani & B. Cappellari” (con 2 stabilimenti, a Udine e Manzano) e, fra le due guerre “Impresa Rizzani”. Successivamente, le Fornaci Riunite di Manzano divennero Spa nel 1969.

In origine, le formaci attingevano all’argilla alluvionale della pianura fra i colli di Manzano e il Torre, materiale che veniva estratto manualmente o con escavatori a tazze, quindi lasciato stagionare sul posto e infine trasportato all’opificio con vagoni decauville prima a trazione animale e poi con motori diesel. La lavorazione era a mani e a macchina, con un forno Hoffmann, che venne demolito nel 1970 per lasciare posto a un più moderno forno a tunnel.

(cfr. Ribezzi, Tiziana 1987, “La lavorazione industriale dei laterizi: le fornaci di Manzano”).
Tegole planelas - Carnia
Le “planelas” sono tegole piane d’argilla diffuse in Carnia, che nel tempo sostituirono quelle in legno (sçjandules), a loro volta sostitute della paglia.
Alla produzione carnica di laterizi è dedicata una sezione del Museo Carnico delle Arti popolari “Michele Gortani” (http://www.museocarnico.it/j/), dove sono esposte le planelas prodotte dalla fornace Felice di Cella di Ovaro (cfr. http://www.museocarnico.it/j/visita-virtuale/ceramiche-e-laterizi).



La Cassa Edile ha prodotto per il Museo un Documentario sull’edilizia friulana dal titolo:

A portata di mano.
Volti, luoghi, storie del mestiere.

Realizzato da Nikam Immagine Video, Udine (2014), a cura di Paolo Comuzzi, Andrea Trangoni, Sabrina Tonutti. Il documentario si articola in una serie di video-interviste a lavoratori, imprenditori edili, insegnanti e Direttori di istituti aventi a che fare con l’edilizia friulana. Le tematiche più salienti affrontate sono: la trasmissione del sapere di mestiere ai giovani; come è cambiato il settore edile nel giro di mezzo secolo; l’emigrazione in edilizia; l’evoluzione tecnologica e normativa; storie personali di mestiere; storia delle fornaci; edilizia idraulica; la lavorazione della pietra; il mosaico; la prefabbricazione; tecniche e materiali in edilizia. Oltre alla video-interviste il documentario propone riprese video realizzate ad hoc e una ricca selezione di materiale filmico/fotografico d’archivio.


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