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Sulla lavorabilità dei marmi

Vari tipi di lavorazione vengono apprestati a seconda delle caratteristiche strutturali del marmo. Alcuni esempi che troviamo in Frangipane:
a punta e a martellina per i calcari comuni e a punta grossa, con risultato superfici scabre e irregolari, per i calcari dolomitici, entrambi estremamente diffusi; di facile lavorazione e non specificata per i calcarei micacei o pietra viva delle valli della Carnia (Sauris di sotto, Mione, val Pesarina, rio Furioso nel canal del Degano, ecc.); di facile lavorazione non specificata per la dolomia cariata o pietra morta, diffusissima in tutta la Carnia;
a punta più meno grossolana per la pietra vernaria della “regione collinesca del Friuli orientale”;
a taglio con sega e smeriglio o
a fino di punta o di scalpello per la pietra piacentina, principalmente nelle cave di Nimis, Faedis e Torreano;
a taglio con spigolo grossolani per il conglomerato alluvionale o ceppo o tòf di alcuni tratti delle valli del Tagliamento, dello Iudrio, del Natisone;
a sfaldamento spontaneo per gli schisti tegulari della Carnia, utilizzati quali elementi di copertura delle abitazioni”
e infine le “pietre per tubi, del monte Jouf sopra Maniago e dei dintorni di Aviano e Polcenigo, oggi in provincia di Pordenone, lavorabili al tornio, ma estremamente tenaci”
(Anna Frangipane 2006: 44).
 
Consorzio pietra piasentina

Venne istituito nel 1965 con 20 soci. Nel 81 le ditte consorziate erano 5, vendevano fuori regione e all’estero, e Torreano si configurava come una “piccola capitale dell’edilizia friulana”
(Gianfranco Ellero 1986: 46).
 
“Il volto chiaro e solarmente grigio di Cividale, anche nelle sue parti più antiche, è dunque figlio delle cave di Torreano e delle Valli del Natisone, e altrettanto può dirsi di Udine, dove la nostra pietra convive con altre cavate dai nostri monti”.
Gianfranco Ellero “Costruire in Friuli: dai sassi dei fiumi alla pietra piacentina”, in Torreano. Il paese della pietra.
Atti del convegno di Cividale
- 31 maggio 1986, pp. 41-48.
 
Pietra
Dentro le montagne.
Cave del Predil, Verzegnis, e ancora: Tarcento, Faedis, Attimis, Cividale Il colore rosso delle cave di Verzegnis e il marmo “grigio carnico”, come grigia è la piasentina del Cividalese.
Ma anche, nella pietra, strade e gallerie, per carri, treni, auto, merci e persone. E, nei fiumi, un mare di pietre e ciottoli, materia per fare, idee per costruire.
Dentro la pietra: le gallerie
La “talpa”

Per gli impegnativi lavori di realizzazione dell’Autostrada fino a Tarvisio, con le sue molte gallerie, fu utilizzata una macchina detta “talpa”, in servizio ancora oggi, a permettere lo scavo meccanizzato di gallerie e tunnel nella roccia. Per la costruzione di gallerie, soprattutto in situazioni difficili, notevoli sono state le innovazioni tecnologiche degli ultimi anni, come le attrezzature a scudo e frese speciali per le gallerie di ampio diametro e, per quelle di diametro ridotto, le macchine miniaturizzate per il “microtunneling”, introdotte in Italia agli inizi degli anni Novanta.
Il marmo
 
Questi i principali distretti marmiferi regionali, con relative tipologie di marmo:
  • dalla Carnia, dalla Valcanale e dal Pordenonese vengono i calcari colorati (suddivisi in 5 gruppi fondamentali: grigi, rossi, bruni, bianchi e avana. Impiegati soprattutto all’interno degli edifici);
  • dal Carso triestino e dal Carso Goriziano i grigi variamente fioriti (qui è presente una tipologia più ristretta di quelli carnici, con 13 varietà appartenenti per di più alle famiglie dei repen e delle aurisine: Aurisina chiara, Aurisina fiorita, Aurisina granitello, fior di mare, repen chiaro, repen classico Zolla, Aurisina romana, repen Vallone, stalattite gialla e rossa, chioccolato, gabria, nero Vallone, breccia italiana (Napoleon);
  • dal Cividalese la pietra piasentina (3 varietà: a grana fine, a grana media, a grana grossa. Buon impiego all’esterno). (da Nimis, G. P. 1972: 586)
Cava di Verzegnis

La cava di Verzegnis è attiva, a fasi alterne, fin dal 1922. Dal 1923 la Società Anonima Industria Marmi di Tolmezzo ne ha la gestione.
Miniera di Raibl - (Cave del predil)

Dopo secoli di attività, nel 1991 è stata chiusa la miniera di Cave del Predil. L’anno della chiusura è stato caratterizzato dalle proteste sindacali che hanno portato anche all’occupazione della miniera e a una estesa mobilitazione locale. Per informazioni sulla miniera cfr. il sito del Museo della miniera
La cava di marmo del Buscada
di Mauro Corona

“[...] dopo oltre quarant’anni di estrazione, fatiche, disgrazie, avventure, amicizia, solidarietà, la bolgia dei dannati chiuse definitivamente i battenti. In ultima erano rimasti solo in due a tirar fuori qualche blocco. Un giorno passai di là e li vidi intenti a spostare un pezzo di marmo con la ruspa. Mi prese malinconia. Pensai agli anni buoni, quando lassù si lavorava in diciotto e si faticava senza ruspa. Ma regnavano amicizia e armonia. Salutai i due, padre e figlio, e mi allontanai in fretta. L’anno dopo smisero pure loro. Da allora sono passati diversi anni. Vado spesso a visitare la cava abbandonata. Ormai, tra quelle pietre, regna soltanto il silenzio dei monti e una grande tranquillità. Solo ogni tanto, d’estate, l’incantesimo è rotto dal fischio delle marmotte. Sostituendo i dannati di pietra, oggi sono loro a trapanare il monte Buscada”
(Mauro Corona, Nel legno e nella pietra, Milano, Mondandori 2003).
Scalpellini
La piasentina
Pietra piasentina (zona Tarcento, Faedis, Attimis, Cividale)

“La brecciola calcare eocenica, cavata nell'area pedemontana orientale compresa tra Buia e Cividale è, da sempre, il materiale da costruzione più diffuso nell'area friulana, è inizialmente indicata dei documenti d'archivio come pietra di Faedis e pietra di Tarcento; essa assume la denominazione di pietra piasentina probabilmente nel XVIII secolo. Il contratto per la realizzazione di una scala, in data 24 luglio 1710, allegato alle note della fabrica, è forse uno dei primi documenti in cui compaia questo nome. L'indicazione di pagamento, in epigrafe, costituisce, parallelamente, un importante riferimento esplicito allo sfruttamento delle cave di Torreano, nella valle del Chiarò, oggi luogo prevalente di estrazione della pietra piasentina” (Frangipane, Anna 2007, Costruire nel territorio. La pietra piasentina in Villa Florio di Persereano dalle note spesa della fabbrica (1705-1718), Milano, Paysage, pp.III-1).
Leggiamo sempre in Frangipane come l’uso della piasentina sia attestato fin dal tempo dei Romani, per poi diffondersi a partire dal tardo Medioevo, come testimoniato dalla presenza di manufatti in pietra non solo nelle aree di approvvigionamento, ma anche a Udine. Mentre allora la pietra proveniva dall’area di Tarcento e Faedis, successivamente sarà Torreano di Cividale un importante centro di estrazione e lavorazione della piasentina, ruolo che diventerà egemone dall’800.
Pietra di facile lavorazione e che ben si presta a realizzare una varietà di modanature ed elementi decorativi di palazzi, corti e giardini, valorizzata nelle sue qualità da Andrea Palladio, la piasentina era presente, a partire dalla fine del ‘500, in quasi tutte le fabbriche importanti della città. L’architettura di Udine è fortemente debitrice nei confronti dell’utilizzo della pietra piasentina, tanto che alcuni autori, come Ballerio, enfatizzano l’associazione fra il colore della pietra la caratterizzazione cromatica della città:«L’elemento più caratteristico che dà il tono ad una città è il colore: per mezzo di questo molte città si possono «definire» nel modo più completo ed esatto. Ebbene, come Roma si può definire biondo-fulva e Verona rossa, Udine è grigio-argentea e questo colore ne permea tutti gli edifici, a qualunque epoca essi appartengano e dà un tono di chiara serenità a tutte le sue strade e le sue piazze» (Ballerio, 1956: 1, cit. in Frangipane 2007).
Alcuni esempi di utilizzo della piasentina: per il Santuario di Castelmonte, le arcate del ponte del Diavolo a Cividale, la chiesa di San Francesco sul Natisone a Cividale; il Palazzo dei Provveditori Veneti del Palladio, Cividale; la porta di Varmo, le profilature interne del Duomo sempre a Cividale; a Udine il Palazzo del Monte di Pietà, l’Arco Bollani, la fontana di Piazza Libertà (opera di Giovanni di Carrara), la facciata di Santa Maria in Castello, gli zoccoli e agli ornamenti di molti altri palazzi
(Florio, Caiselli, ecc.).
Ciottoli e Tagliamento - Mosaicisti e Terrazzieri: Lo Spilimberghese
“[...] nasce una Scuola del Mosaico a Spilimbergo, una cittadina di piccole dimensioni, distesa fra le irsute valli del Friuli pedemontano; territorio di secolare, dignitose povertà, esso è fortunatamente solcato dalle anse del Tagliamento, del Cellina, del Meduna, le sue “divinità fluviali”: infatti, le loro inesauribili risorse di ciottoli, “microcosmi naturali” del mosaico fin dalle origini, sono ancora oggi la materia prima del mosaicista o del terrazziere”
(Danila Venuto 2000: 51).

L’arte musiva veneziana, debitrice nei confronti della tradizione bizantina, ebbe un imponente sviluppo nel corso del ‘500, e ciò avvenne grazie ai mosaicisti dello Spilimberghese (Sequals, Colle, Solimbergo, Arba, Fanna, Cavasso Nuovo e Spilimbergo), che dal Friuli si trasferirono a Venezia, dove andarono a costituire una comunità e ad operare nel settore. I mosaici stessi che queste maestranze realizzavano erano composti da tessere ricavate dai sassi dei greti dei fiumi Meduna e Tagliamento, che soprattutto donne e bambini raccoglievano, per poi inviarli a Venezia.

Fu così che si venne a creare un collegamento professionale fra Venezia, luogo di sperimentazione, elaborazione e diffusione delle tecniche artigiane, e le pianure del Pordenonese, in cui emersero e si distinsero, nel tempo, due poli di specializzazione: la zona di Sequals, dedita al mosaico, e la zona di Cavasso e Fanna, con il terrazzo.

Il terrazzo è una tipologia di pavimentazione che consiste nella stesura di un letto di malta a più strati su cui vengono seminate scaglie di marmo, prima quelle più grandi, quindi quelle più piccole; le fasi successive consistono nel bagnare, rullare, battere, levigare, stuccare e lucidare la superficie (da “Glossario della terminologia tecnica del mosaico”, a cura di Gabriella Bucco, Danila Venuto e Julia Zucchiatti, in Giacomello e Giusa 2000, pp. 537-539).
Nell’Ottocento, i mosaicisti di Sequals “sono stati capaci di allacciare relazioni con pittori e architetti per lavori di grandi dimensioni: hanno diramato la loro arte in tutto il mondo, dalla decorazione della Library of Congress di Washington a quella dell’Opèra di Parigi, dove il progetto dell’architetto Charles Garnier viene valorizzato dai mosaici commissionati al sequalsese Gian Domenico Facchina, noto anche per gli interventi nella Chiesa di Lourdes” (da http://scuolamosaicistifriuli.it/).

A tale tradizione si ispira la Scuola per mosaicisti del Friuli, inaugurata a Spilimbergo il 22 gennaio 1922, come risposta a quanto caldeggiato dal delegato della Società Umanitaria di Udine, Lodovico Zanini. Fu così data vita alla prima istituzione di questo genere in Italia (cfr. Gemo 2012: 15).
La missione di tale progetto era fornire adeguata formazione a quelle maestranze che desideravano operare nella realizzazione di opere musive, e che prendevano la via dell’estero. Essi seguivano le orme di quei mosaicisti e terrazzieri che avevano ormai lavorato come impresari o collaboratori di laboratori in tutto il mondo: “il loro luogo d’origine identificò ben presto una professionalità tramandata di generazione in generazione che aveva saputo sfruttare la materia prima disponibile, i sassi colorati dei fiumi Meduna, Cosa, Cellina e Tagliamento (...)”
(Gemo 2012: 16).
La calce
La calce (aerea detta anche calce comune) è un materiale da costruzione che si ottiene grazie alla cottura del calcare a temperature elevate. Mescolata alla sabbia, forma la malta.

La preparazione della calce consiste nella cottura delle pietre bianche (per la presenza di calcare), che perdono anidride carbonica e danno origine alla “calce viva”. Questa viene poi “spenta” attraverso l’immersione in acqua.
La calce aerea indurisce a contatto con aria, mentre esiste una suo versione idraulica (che indurisce anche in ambienti non a contatto con l’aria, come l’acqua), quando viene mischiata con argilla, oppure con pozzolana, una sabbia ricca di silice.

La malta

La malta è un materiale composito, formato da calce e sabbia, utilizzato in edilizia per tenere uniti i materiali da costruzione. Si pensi alle malte utilizzate per tenere assieme le pietre dei muri, come quelli “a secco”, realizzati fin dall’antichità, o alla malta utilizzata per le fughe fra mattoni e piastrelle, o, ancora, alle malte dell’arriccio, cioè preparatorie per l’affresco, o a quelle di finitura.
In base alle modalità di indurimento del materiale, due sono i tipi di malta: quella aerea, che indurisce a contatto con l’aria (come il gesso, e la calce aerea), e quella idraulica, che indurisce a senza contatto con l’aria (come il cemento, la calce idraulica).



La Cassa Edile ha prodotto per il Museo un Documentario sull’edilizia friulana dal titolo:

A portata di mano.
Volti, luoghi, storie del mestiere.

Realizzato da Nikam Immagine Video, Udine (2014), a cura di Paolo Comuzzi, Andrea Trangoni, Sabrina Tonutti. Il documentario si articola in una serie di video-interviste a lavoratori, imprenditori edili, insegnanti e Direttori di istituti aventi a che fare con l’edilizia friulana. Le tematiche più salienti affrontate sono: la trasmissione del sapere di mestiere ai giovani; come è cambiato il settore edile nel giro di mezzo secolo; l’emigrazione in edilizia; l’evoluzione tecnologica e normativa; storie personali di mestiere; storia delle fornaci; edilizia idraulica; la lavorazione della pietra; il mosaico; la prefabbricazione; tecniche e materiali in edilizia. Oltre alla video-interviste il documentario propone riprese video realizzate ad hoc e una ricca selezione di materiale filmico/fotografico d’archivio.


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