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“Tutti i paesi, con pesi diversi, sono la sommatoria di distruzioni, conservazioni, innovazioni.
Di progetti realizzati e progetti falliti. Di memorie e di miti. Delle vicende e dei rapporti tra le persone, della loro capacità di produrre, creare, scambiare.
Di accanimenti, distrazioni o benevolenze della storia e della natura.
Di antiche immigrazioni. Da noi soprattutto di esodi, anche recentissimi e che ancora bruciano [...]”

(Leonardo Zanier, “Trasformare il vuoto in pieno”, in Cantîrs)

 
Una delle categorie edili che ebbe a subire le peggiori condizioni di lavoro fu quella dei fornaciai, con il coinvolgimento di donne e bambini nel lavoro in fornace e in stagionali esperienze di emigrazione. Durante il XIX secolo un flusso cospicuo di lavoratori e lavoratrici, bambini inclusi, lasciò i paesi della pianura, afflitti da una grave arretratezza economica, verso la Baviera e altre regioni dell’Impero. In seguito, la realizzazione di collegamenti ferroviari favorì un incremento e l’intensificazione di questo fenomeno di emigrazione stagionale.
 
Mobilità

Quello edile è un mestiere mobile per eccellenza.

Si pensi allo spostamento delle ditte e degli operai da un cantiere all’altro, dove chiama la committenza.

Ma si pensi anche a una mobilità più estesa, quella stagionale che in passato portava tante maestranze locali all’estero, dando origine a vere e proprie catene migratorie, con flussi di persone - spesso descritte come “emorragia” di popolazione locale - da una medesima zona di provenienza verso una comune meta di lavoro.

Infine, significative sono le molte esperienze imprenditoriali di friulani che hanno avviato ditte all’estero, “firmando”, seppur quasi sempre in forma anonima, la costruzione di opere dalla grande visibilità pubblica in ogni angolo del mondo.

I cantieri sono quindi mobili, si allestiscono, si concludono, e si riaprono a seconda delle fasi di lavoro.

E mobili sono le persone, al loro interno: perchè ogni cantiere è temporaneo, essendo questa la sua natura - e perchè nei cantieri affluiscono lavoratori di diverse provenienze. La multietnicità e la multiculturalità dei cantieri sono un fatto noto e rilevante dei nostri giorni: come una moderna babele, il cantiere si anima di diverse lingue, di diversi modi di fare e di saper fare, con intrecci di professionalità e storie di vita che rendono il “qui” una concretizzazione di tanti “altrove”.


PDF dell'articolo di Piero Petrucco   Cantieri di diversità


La storia del Friuli, e della sua tradizione edilizia in particolare, ci mette di fronte a cicli alterni di emigrazioni (dei locali, i “nestris”) e immigrazioni ( i “foresti”).

E’ curioso notare come lo straniero, il “forest”, sia una categoria dai confini mutevoli e contestuali. Se andiamo indietro nel tempo alle prime confraternite di mestiere (dal ‘500 al ‘700) e alla loro chiusura nei confronti dei muratori “di fuori”, notiamo come il fuori fosse segnato da confini molto vicini al centro, nel nostro caso Udine: erano forestieri sì i Lombardi, che godevano allora di un’ampia committenza in città, ma anche tutti i muratori dello stesso territorio del Friuli, non appartenenti alla città di Udine. Si pensi, ad esempio, che a inizio ‘700 muratori di Faedis, Mariano, Percoto, Valvasone e Venezia vennero condannati a pagare una sorta di multa per l’esercizio dell’arte muraria a Udine.

Un contesto di senso inverso, in cui cioè spettò ai Friulani il ruolo di “forestieri”, nonchè inadempienti rispetto al pagamento di tasse e balzelli, fu la Venezia del Settecento, meta di approdo di una lunga serie di terrazzieri provenienti dalla zona di Sequals. Venezia costituiva per costoro un luogo di residenza temporanea, per il tempo delle commissioni di lavori, con periodici rientri nei paesi d’origine per attendere ai lavori agricoli o con trasferimenti in altre città per lo svolgimento di altre opere. Si verificava così una situazione in cui gli esattori delle tasse di Venezia incontravano notevoli difficoltà nel reperire questi forestieri friulani, che si sottraevano di fatto al pagamento delle dovute tasse alla Serenissima.
(cfr. Javier Grossutti, 2010, L’emigrazione dal Friuli Venezia Giulia negli Stati Uniti.)
Dal Friuli: destinazioni di emigrazione

Le vicine o contigue regioni della Stiria, della Carinzia, del Salisburghese e della Baviera costituirono mete privilegiate dell’emigrazione dal Friuli nei secoli scorsi. A queste si aggiunsero, dalla seconda metà dell’800, la Germania centro-occidentale e orientale, la Romania, la Svizzera tedesca, la Francia e la Russia. Successivamente, divennero mete condivise di espatrio anche paesi più distanti: Argentina, Australia, Stati Uniti....

“Questo movimento dai nostri paesi prealpini verso l'estero ripete le sue origini fin dall'inizio del secolo XVIII [...] Ma il fenomeno in allora veniva appena avvertito, e non aveva luogo che dove per la povertà del suolo i mezzi di sussistenza mancavano quasi interamente; cominciò a diventar generale e ad avviarsi verso la straordinaria intensità d'oggi [Marinelli scrive nel 1912] quando in Germania, Austria-Ungheria, Francia, Svizzera si dette principio ai grandiosi lavori connessi coll'enorme sviluppo industriale recente di quei paesi. Dopo di allora, nonostante leggere oscillazioni, è venuto via via aumentando fino ad assumere le straordinarie, impressionanti proporzioni di questi ultimi anni. Secondo i dati ufficiali, durante il quinquennio 1895-9 la media annua degli emigranti dalla nostra regione fu la seguente:

Gemona5899ossia di16,21 %sulla popol. calcolata
S.Daniele5366"13,01 %"
Tarcento3282"10,46 %"
Cividale1590"3,54 %"
S.Pietro al Natisone493"2,97 %"

(Marinelli, Olinto 1912, Guida delle Prealpi Giulie, Udine, Società Alpina Friulana, p. 135).

Austria e Germania

La vicina Austria fu nell’Ottocento e nel Novecento una delle mete privilegiate sia di emigrazione di maestranze specializzate e non, che di avvio di imprese edili di origine friulana. La presenza di baumeister friulani fu in talune zone talmente cospicua da aver contribuito a forgiare, attraverso l’opera di costruzione di questi impresari, l’aspetto caratterizzante del paesaggio architettonico - come può dirsi, per citare un caso, per Salisburgo (cfr. Merluzzi 2006).

Si trattò di emigrazioni per lo più stagionali verso Carinzia, Stiria, Tirolo in Austria e in seguito anche in Germania, in Baviera e nel Baden-Württenberg, dove molti edili friulani trovarono occupazione soprattutto nel settore delle fornaci
(cfr. Ermacora, www.ammer-fvg.org).

Una delle categorie edili che ebbe a subire le peggiori condizioni di lavoro fu quella dei fornaciai, con il coinvolgimento di donne e bambini nel lavoro in fornace e in stagionali esperienze di emigrazione.

Durante il XIX secolo un flusso cospicuo di lavoratori e lavoratrici, bambini inclusi, lasciò i paesi della pianura, afflitti da una grave arretratezza economica, verso la Baviera e altre regioni dell’Impero. In seguito, la realizzazione di collegamenti ferroviari favorì un incremento e l’intensificazione di questo fenomeno di emigrazione stagionale.

L’Austria, e nello specifico Salisburgo, era destinazione privilegiata dei muratori dell’alta Val Meduna, dove numerosi lavoratori venivano assoldati dalla ditta Crozzoli, originaria di Tramonti di sotto, la quale anche coinvolgeva nell’attività altri muratori indipendenti con le loro piccole imprese, come Emilio Minin di Tramonti di Sopra (Luigi Antonini Canterin 2000: 60-61).

Sempre restando in Austria, uno dei maggiori catalizzatori di maestranze dal Friuli a partire dagli anni ’60 dell’Ottocento fu la ditta di Giacomo Ceconi (1833-1910).

Ceconi nacque a Pielungo (ora provincia di Pordenone), frequentò una scuola serale per operai a Trieste, esperienza che costituirà una solida base di partenza per la carriera. Avviò una propria impresa negli anni ’50, destinata ad ingrandirsi costantemente (e, inseguito, a trasferire la sede a Salisburgo), soprattutto grazie agli appalti per lavori ferroviari che il Ceconi si assicurò nei territori dell’Impero austriaco.

Costruì stazioni in Ungheria, Slovenia, Boemia, Tirolo, fino in Baviera. La sua impresa più importante e certamente di più larga fama su la ferrovia con galleria dell’ Arlberg tra Landeck e Bludenz, sulla linea che collegava Innsbruck alla Svizzera: l’opera, iniziata nel 1879, fu terminata nel 1885, con anticipo sui tempi previsti, e per tale merito l’Imperatore Francesco Giuseppe conferì il titolo nobiliare di “conte” al Ceconi. Si calcola che la manodopera reclutata per la galleria dell’Arlberg raggiungesse il numero di 16.000 persone) (ivi: 62).

Dell’opera resta un importante documento, l’album delle maestranze coinvolte nell’opera.

Ceconi viene anche ricordato per le sue opere a beneficio della comunità dei suoi compaesani, come la Strada Regina Margherita in Val d’Arzino, donata al paese d’origine, ma anche acquedotti, e le scuole di disegno per operai.
Svizzera

Della migrazione di lavoratori italiani (e friulani) in Svizzera, uno degli aspetti più tristi e noti riguarda lo stato di emarginazione di cui queste persone, donne e uomini, soffrivano. In questo quadro, però, vanno anche collocate opportunità di formazione professionale (tramite la frequenza di scuole in loco) e di mobilità sociale ascendente di cui hanno beneficiato gli emigranti italiani: ne sono un esempio quei muratori che sono diventati capocantiere, quelle donne che da cuoche e cameriere hanno poi avviato dei negozi in proprio.

Uno spaccato su tali realtà ci è offerto dalla recente ricerca etnografica di Moreno De Toni, riguardante l’emigrazione edile da Chiaulis (Carnia) a Basel, in Svizzera, di cui riportiamo un caso particolare: la positiva presenza femminile in un ambiante tutto al maschile. La cuoca del proprio paese d’origine.

A proposito degli emigranti edili di Chiaulis in Svizzera, scrive Moreno De Toni: “Nel tentativo di limitare il più possibile lo spaesamento, la cuoca paesana era l'indispensabile garante della centralità antropologica dell'alimentazione, della necessarietà del fatto alimentare come fatto sociale, primo e più tangibile elemento che confermasse una minima presenza, anche all'estero, di usanze, ritualità, convivialità, sapori, pratiche alimentari natie”
(De Toni 2010: 106).

Dall’intervista a Mario De Toni (21 Marzo 2009):

“A èra una ca faśèva da mangjâ...ca la vèva fàta lâ via so pâri...la Mariùta...De Toni Maria...fîa dal capo, c'al faśèva il capo lui, De Toni Giacomo...A vignève a fâ da mangjâ, a vève l'alògjo vizìn di aì...Dopo a è lada via iê, a è vignùda vìa la Irma (Irma Tolazzi), la sûr da àgna Vira...a fâ da mangjâ...
A si iôt che i operàris, il capo al vorà portât il problèma a dìta, no, al vorà dèt “Nô i vulin vê la côga ca nus prepâri la cèna”, parcè che aì tu faśèvas di mangjâ nómo la sèra, parcè che a miešdì a èrin ducj a tôr pai cantîrs, a mangjàvin sul cantîr, no...Al vorà domandât e ài voràn dèt “Fai vignî cà una da l'Italia”, parcè che...cui vignèvie...una žvìzara? A facj chèl lavôr aì? niśuna! Chês a no vèvin problèmas di vègni a fâ un lavôr dal gjènar, no...
A lavoràvin già, a vèvin già lavôrs bòins e via...o in fàbrica o cà e là...iò i pènsi ca no vorèsin nèncje acetât di vegnî a fâ una roba dal gjènar, un lavôr 'là ca non son nèncja...
còmo nô i vin un'abitudine di mangjâ e lôr a nd'àn un' âta, ce faśèvino...Eh!”
“C'era una che faceva da mangiare... l'aveva fatta venire suo padre...la Marietta...De Toni Maria, figlia del capo, che faceva il capo lui, De Toni Giacomo...Veniva a far da mangiare, aveva l'alloggio lì vicino...Dopo è andata via, ed è venuta la Irma (Irma Tolazzi), la sorella della zia Vira...a far da mangiare... Si vede che gli operai, il capo avrà portato il problema alla ditta, no, gli avrà detto “Noi vogliamo avere la cuoca che ci prepari la cena”, perchè lì facevi da mangiare solo la sera, perchè a mezzogiorno erano tutti in giro per i cantieri, mangiavano sul cantiere, no...Avrà chiesto e gli avranno detto “Fai venire qua una dall'Italia”, perchè...chi veniva...una svizzera? A farti quel lavoro lì? Nessuna! Quelle non avevano problemi tali da venire a fare un lavoro di quel tipo, no...Lavoravano già, avevano già lavori buoni e via...o in fabbrica o qua e là...io penso che non avrebbero neanche accettato di venire a fare una cosa del genere, un lavoro dove non sono neanche...Visto che noi abbiamo un'abitudine alimentare e loro un'altra, cosa facevano...Eh!”.

Maria De Toni, la cuoca, descrive l'alimentazione a “Casa Basilea”:

“Eeeh aì a binòra a si faśèvin, i preparàvi il cafè la sèra, si faśèvin la guleziòn besôi, no, e con che iò a ièvavi a lavàvi i plàts, e dopo a miešdì, il dopomiešdì al èra pa cèna, no, parcè che as dôs iò a metèvi su il sugo pài špaghèts, quàtri chilos di špaghèts a cuśinàvi, sîs chilos di špinàgias a netàvi,a faśèvi la salàta di capûš, chèi capûš ròš, ca vèvi las mans dopo còmo ca vès copât qualchidùn! Si! E a faśèvi dopo da cèna, no...di dut: pèš, cjàr, gjalìnas, a faśèvin di sòlit las taiadèlas besôi, il Sàbida o la Domènia, però mi iudàvin, al èra il barba Mico ca mi iudàva tant...tant tant tant...e il Toi (124)...al faśèva il Toi prima da mangjâ, par lôr, però no tancj cusì, di màncul...al faśèva lui prima!”.
“Eeeh lì la mattina si facevano, preparavo il caffè la sera, si facevano la colazione da soli, no, e quando mi alzavo lavavo i piatti, e dopo a mezzogiorno, il pomeriggio era per la ceno no, perchè alle due mettevo su il sugo per gli spaghetti, 4 chili di spaghetti cucinavo, 6 chili di spinaci pulivo, facevo l'insalata di cavolo-cappuccio,quelli cavoli rossi, che dopo avevo le mani come se avessi ammazzato qualcuno! Si! E dopo facevo la cena no...di tutto: pesce, carne, galline, di solito si facevano le tagliatelle da soli, il Sabato o la Domenica, pero mi aiutavano...era lo zio “Mico” che mi aiutava tanto...tanto tanto tanto...e “il Toi”...faceva “il Toi” prima da mangiare, per loro, però non così tanti, di meno...faceva lui prima!”.

Intervista di Moreno De Toni a Maria De Toni, nella sua casa di Duggingen (Basel Land), 30 Ottobre 2009.

Friulani: contadini, emigranti, muratori

Fino agli anni Sessanta a Fagagna (e anche in tutto il Friuli) non vi sono attività economiche che permettano l’occupazione maschile. I giovani contadini non hanno possibilità di espandersi e di crescere, perchè le famiglie lavorano a mezzadria e ancora pochi sono proprietari dei terreni. L’unica via possibile resta quella dell’emigrazione che molti giovani contadini fagagnesi intraprendono soprattutto in questo periodo. Questo esodo di massa si sviluppa nelle sue diverse forme e direzioni, ma dà origine a un singolare fenomeno di emigrazione temporanea europea che privilegia come destinazioni: Francia, Svizzera, Germania. In questi Stati si formano piccole comunità di Fagagnesi che si chiamano a vicenda, e proprio il passaparola è il metodo di scelta delle località, nonchè il motore che spinge i nostri a cercare fortuna lontano dal paese verso località dove sanno di trovare i compaesani, per sostenersi a vicenda. Citiamo tra tutti il gruppo di Fagagnesi riuniti a Neuchâtel che costituiscono una importante comunità di emigranti friulani in Svizzera. Più in generale, ricordiamo come i nostri contadini trovassero facile impiego nel settore dell’edilizia in forte espansione e acquisissero così la pratica di un nuovo mestiere che permetteva loro, una volta rientrati, di avere un lavoro sicuro e anche di diventare capomastri e impresari. Buona parte di questi emigranti, infatti, dopo avere ottenuto ruoli di capocantiere nelle imprese locali, riusciranno a mettere insieme una propria attività anche con dipendenti. Ecco che i contadini-emigranti fagagnesi tornavano avendo imparato un mestiere, come quello del muratore, molto richiesto nel Friuli della rinascita e dell’espansione sociale ed economica, e che gli garantiva una buona qualità di vita. (Testo a cura del Museo della Vita Contadina "Cjase Cocèl” di Fagagna, per la Mostra Muradôrs a Feagne, 2014).
Francia

Anche la Francia fu una destinazione raggiunta dai migranti edili friulani nei secoli addietro, e anche qui maestranze sia specializzate che non trovarono impiego spesso stabile e di successo. Fra questi casi virtuosi è da ricordare l’esperienza dei mosaicisti sequalesi e dei terrazzieri della zona di Cavasso e Fanna che, raggiunta la Francia, da qui esportarono ulteriormente la propria competenza in altri paesi europei e oltreoceano.

A Sequals (nel 1826) nacque uno dei più illustri mosaicisti friulani: Gian Domenico Facchina, che si spostò prima a Trieste e poi a Venezia, per apprendere le tecniche musive. A Venezia partecipò al restauro di San Marco, e in seguito fu ad Aquileia per la pavimentazione della Basilica. Ma la sua fortuna coincise con il trasferimento in Francia, con il restauro di pavimenti antichi a Monpellier. Si stabilì a Parigi, dove la sua fama crebbe, soprattutto a seguito dell’invenzione di un metodo innovativo e allo stesso tempo economico nella realizzazione di mosaici. Fu qui che l’architetto Charles Garnier gli commissionò la realizzazione delle decorazioni per il Teatro dell’Opera. L’inaugurazione, nel 1875, del teatro suscitò stupore ed entusiasmo nei confronti del lavoro del Facchina e del mosaico in generale, tanto che quest’ultimo fu oggetto di una vera e propria moda del tempo. Molti erano allora i giovani mosaicisti che dal Friuli si recavano in Francia per lavorare con Facchina.

Sempre dalle zone di Sequals si avviavano iniziative imprenditoriali nel campo del mosaico per i mercati esteri: si pensi ai fratelli Vincenzo e Isidoro Odorico che, dopo aver lavorato all’Opera con Facchina, si trasferirono a Tours a quindi a Rennes in Bretagna, per poi ottenere importanti incarichi anche a San Pietroburgo, al Cremlino e, a fine secolo, a Copenaghen per la decorazione della grande fabbrica di birra Carlsberg di Jacob Christian Jacobsen; ad Andrea Avon, che dopo essere stato a Parigi, rientrò in Italia, a Venezia; e Piero Pellarin, anch’egli allievo di Facchina, che si trasferì negli Stati Uniti (Antonini Canterin 2000), o, ancora Francesco Mora, che nel 1883, avvalendosi di un centinaio di addetti, restaurò il pavimento di Alcesti e Admeto a Nîmes; Pier Antonio Cristofoli, col suo atelier attivo dal 1850 in Francia; le ditte D’Agostin e Bernardin a Liegi, Pietro Mazzioli a Londra, Andrea Carnera (già collaboratore dei fratelli Odorico), in Danimarca e in altri paesi del Nord.
Un’altra categoria di edili che fu fortemente presente in territorio francese fu, ancora una volta, quella dei fornaciai.
Numerosi i muratori che da varie località del Friuli raggiunsero la Francia e lì si stabilirono in via temporanea o permanente.

“Sassi trasferiti”.
Su mio padre Beppo, muratore di Venzone emigrato in Francia

In questa storia, il sasso, che può essere spostato, ma che non viene distrutto, sta a rappresentare la forza delle persone, a simboleggiare lo spirito di tanti Friulani che sono andati via per trasferire il loro sapere con un sasso nel cuore. Un sasso che si lavora, che si trasforma e si fa testimone della rigidità della vita e della forza dell’amore.

Nato nel 1924 a Venzone (UD), Beppo è cresciuto in una famiglia modesta. Da giovane, gli piaceva la scuola, ma a quell’epoca non c’erano molte possibilità di studiare, essendo il più grande dei figli e avendo quindi responsabilità dei fratelli e delle sorelle, dopo i genitori. A lui piaceva la storia, la conoscenza della vita pensata con lo sguardo intellettuale. Ma... con il dovere di famiglia non si scherza.

A 15 anni è andato a lavorare in montagna, il legno l’aspettava presto la mattina. Dopo la guerra, ha deciso di prendere in mano la sua vita ed è tornato a scuola per imparare il mestiere di muratore. Si è impegnato, si è lasciato appassionare dalla magia del disegnare e poi del costruire. Gli piacevano la perfezione della linea e la precisione della matita.

Sempre per dovere, ha deciso di proporsi per andare via a guadagnare soldi per la famiglia. L’orgoglio è stato grande quando il prete-insegnante l’ha selezionato fra i migliori studenti, pronti per seguire un ingegnere francese.
Esami, visite mediche, prove, documenti: ha superato tutto e se n’è andato. Racconterà pochi anni prima di morire: “Sul treno che mi ha portato via, ho pianto fino a Venezia. Poi mi sono detto, Summo Beppo! smettila, adesso devi andare, hai un contratto di lavoro e basta!”

Ha dovuto dare il meglio di se stesso, essendo pagato poco, con la (s)fortuna di aver l’alloggio a Sedan. Vita di miseria nelle case sporche, con condizioni difficili. Sono stati gli Italiani ad aver messo a posto le loro casette per poter vivere nella dignità. Ormai, erano abituati ad abbassare la schiena per sopravvivere!

Nel 1950, Beppo è stato chiamato della sorella Vighie che aveva seguito il marito a Brest, in Bretagna. Brest era stata bombardata e c’era bisogno di mano d’opera per ricostruirla. All’estero è più facile se si è vicino a un famigliare. Dalla fine degli anni ‘40 c’erano già Friulani a Brest, conosciuti per il mestriere di muratori. Ma non si creda che tra di loro tutti si facessero regali. Molto spesso, all’estero, per sopravivere ognuno deve badare a se stesso! Beppo ha dovuto adattarsi, non si è mai scoraggiato, sapeva stringere i denti e aveva certamente abbastanza orgoglio per lottare e dimostrare che lui - “Macaroni” - sapeva lavorare e anche insegnare agli altri come fare.

Da Brest il datore di lavoro l’ha mandato a Lesneven, piccola città a 25km da lì per la costruzione di case. Da allora, la sua vita è cambiata. Per caso? La vita è strana e l’ha portato a lavorare davanti alla casa di un Napoletano, così che Nord e Sud hanno fatto amicizia. Beppo si è innamorato della figlia di quell’uomo, e non l’ha più lasciata. Si è trasferito a Lesneven, si è sposato e ha cambiato di nuovo di datore di lavoro: un Italiano che si dimenticava spesso di pagare i lavoratori.

Nel 1955, stanco della povertà in cui era costretto, nonostante le sue capacità, con moglie e figlio se ne è andato presso Parigi, vicino ai famigliari. Il lavoro non mancava, anzi: lì poteva guadagnare ed essere riconosciuto nelle proprie competenze di capocantiere. Così soffriva di meno del peso dell’immagine di immigrato. Purtroppo, la vita parigina non era per tutti, e sicuramente non per lui, proveniente da un piccolo paese del Friuli, Venzone. Tornato in Bretagna, ha ripreso una vita più modesta, ma piano piano è stato apprezzato per il suo coraggio. Veniva chiamato anche di domenica! Per poter fare mangiare la famiglia accettava tutti lavori. Chi ha letto Les Ritals capirà quali tipi di lavoro.

Ha quindi deciso di costruire la propria casa. Ci sono voluti almeno 7 anni per finire il primo piano, perchè non si compra un bene se non ci sono soldi. Uno straniero non fa debiti. Pietra dopo pietra, stanza dopo stanza, con pazienza è cresciuta questa casa, la ricchezza della famiglia. Una casa solida che non temeva il terremoto, piena di sobrietà e d’amore. Amore per i suoi, amore per il suo mestiere, amore per il suo paese di origine. C’era tutto dentro! Beppo ci ha trasmesso il desiderio di mantenerla per non dimenticare i sacrifici, per mantenere dritti i muri, simboli della dignità dei muratori che hanno lasciato famiglia e paese. Muri duri come la vita ma che non si rompono, come il vero amore.
Ancora oggi, delle persone si fermano davanti ad alcune opere che Beppo ha fatto. Chi compra una delle case che lui ha fatto, fa fatica a rompere i muri. E noi sorridiamo: una casa è fatta per proteggere il nido della solidariétà.

Beppo è morto nel 2007.

Cècile Marguerite Saggiovitz
Belgio

Dei numerosi italiani che raggiunsero il Belgio nel primo dopoguerra, per prendere parte alla ricostruzione, molti provenivano dalle regioni settentrionali d’Italia. Questa destinazione divenne presto una delle più presenti nell’orizzonte migratorio dei friulani, che là si recarono per lavorare nelle miniere, in edilizia, nella costruzione di ferrovie.

Si tratta di un’emigrazione in parte organizzata congiuntamente da enti appartenenti ai due paesi (datori di lavoro belgi, da un lato, e, dall’altro, enti come l’Opera Bonomelli in Italia, o, a Udine, l’Ufficio Provinciale del lavoro, nato nel 1908). Ma erano talvolta le stesse industrie belghe a inviare nelle campagne venete e friulane loro incaricati per reclutare manodopera. “Negli anni Venti e Trenta friulani e settentrionali in generale costituiscono il gruppo più numeroso” (Micelli 2012: 28). I friulani lavoravano soprattutto nel settore estrattivo, cioè miniere di carbone e cave di pietra, in cantieri edili (compresa la costruzione di ferrovie), in cementifici e cokerie, negli altiforni siderurgici: tutti contesti in cui dovevano confrontarsi con discriminazioni, condizioni di lavoro difficili, nonchè abusi, come la violazione dell’orario di lavoro. Il secondo dopoguerra segna un accordo fra Italia e Belgio in tema di emigrazione, con la prima che si impegna a inviare manodopera in Belgio per il lavoro in miniera, in cambio di scorte di carbone, calcolate pro capite per ogni emigrato. Anche in questo caso, le condizioni di lavoro e di vita sono durissime, con gravi conseguenze sulla salute (malattie respiratorie, come la silicosi, analizzata da una ricerca del medico Guglielmo Pitzalis in relazione ai problemi respiratori di 300 minatori delle Valli del Natisone che avevano lavorato in Belgio, cfr. Pitzalis 2005) e una triste e lunga serie di incidenti sul lavoro. “Dal 1946 al 1961 le vittime italiane delle miniere sono 820, inclusa la tragedia dell’8 agosto 1956 a Bois du Cazier (Marcinelle) dove periscono 262 minatori in maggioranza italiani (136)”

(Micelli 2012: 32-34). Di questi, sette erano friulani.

Ungheria e Romania
Durante l’Ottocento i territori dell’Impero (le attuali Ungheria e Romania) costituivano un ampio bacino di destinazione per gli emigranti edili friulani, che trovarono là occupazione come tagliapietre, scalpellini, carpentieri, fornaciai e pure mosaicisti e terrazzieri, in particolare per la costruzione di case di lusso ed edifici pubblici. Rilevante fu anche l’occupazione nei cantieri di costruzione delle linee ferroviarie.

Caso esemplare dell’edilizia residenziale di prestigio, che tanta forza lavoro attraeva in Romania, è la Valacchia, dove l’imprenditore Angelo Garlatti-Venturini (nato a Forgaria nel 1859, detto “Boccadoro”) richiamava manodopera dal Friuli per la sua impresa che si occupava della costruzione di ville e case di lusso per i ricchi turisti che frequentavano Sinaia, una cittadina della Valacchia oggetto di un notevole sviluppo turistico all’epoca (cfr. Luigi Antonini Canterin 2000: 62).

Collegamento all’articolo del Messaggero Veneto sull’emigrazione friulana di ieri in Romania. Messaggero Veneto - documentari

Slovenia
Drammatici rientri...
Lo scoppio della I guerra mondiale comportò un brusco arresto dei lavori edili in Germania e Austria-Ungheria, con la conseguente necessità per i lavoratori emigranti, resi disoccupati da tale situazione, di fare rientro in patria. Fu un rimpatrio di massa. “ [...] nell’agosto del 1914 rientrano in Friuli circa 53.000 emigranti, nell’ottobre sono 62.000, nel dicembre raggiungono la ragguardevole cifra di 83.275 unità, oltre 57 mila sono disoccupati*. Considerando i nuclei familiari, il quadro complessivo si aggrava ulteriormente: metà della popolazione della provincia, circa 300-350.000 persone, si trova in grande difficoltà. Il fenomeno dei rimpatri assume dimensioni imponenti: gli emigranti rimpatriati in Italia in questo periodo sono circa mezzo milione”. Quanto ai lavoratori edili, si consideri che, in tale quadro di riferimenti, “tra i rimpatriati si contano 31 mila muratori, 25 mila fornaciai, 16 mila manovali e sterratori ed altri 9 mila emigrati scalpellini, tagliapietre, terrazzieri, minatori, boscaioli”
(Matteo Ermacora 2001: 6).
Transiberiana
"Italiani sulle rive del Bajkal"
Servizio televisivo RAI sul ruolo dei Friulani nella costruzione della Transiberiana.
Numerosissimi furono i lavoratori edili friulani impegnati nella costruzione della Transiberiana, opera che venne realizzata, in tutte le sue tratte, nell’arco temporale dal 1891 al 1916. Fra gli imprenditori friulani che ebbero incarichi in quest’opera e che reclutarono muratori nei paesi d’origine ricordiamo Pietro Brovedani di Clauzetto e Pietro Collino di San Rocco di Forgaria, che portarono in Asia squadre di muratori e scalpellini friulani durante le prime fasi della costruzione della ferrovia, a partire dal 1893 (Luigi Antonini Canterin 2000: 63). Altri imprenditori friulani che contribuirono alla costruzione della famosa ferrovia furono: Domenico Indri di Predis di Sopra, che da qui e da Clauzetto d’inverno cercava operai che poi sarebbero partiti per l’Asia con lui a primavera; sempre da Clauzetto provenivano molti lavoratori alle dipendenze di Leonardo Rizzolati, Giovanni Fiorani di Nimis, Giovanni Pellegrini di Osoppo, e altri impresari. Questi operai erano muratori, scalpellini e minatori, ed erano impegnati soprattutto in tratte come quella del lago Bajkal, dove, per dare una quantificazione del fenomeno, nel 1903 (quindi sul finire dell’opera), su un totale di 455 italiani presenti, in maggioranza friulani, circa duecento provenivano dal comune di Clauzetto (ivi).
Migrazioni oltre oceano
A cavallo fra Ottocento e Novecento, i mosaicisti e i terrazzieri friulani, già molto attivi con incarichi di alto profilo in Europa, approdano negli Stati Uniti ricoprendo uno status particolare, grazie alla loro specializzazione: essi costituiscono infatti, come scrive Javier Grossutti (L’emigrazione dal Friuli Venezia Giulia negli Stati Uniti.), una “aristocrazia” lavorativa, che proprio in virtù dell’altra specializzazione dei loro mestieri e della scarsa concorrenza, si ritagliano spazi e incarichi, anche di prestigio e ben remunerati, nelle nuove mete di emigrazione. Ciò in assoluto contrasto con la larga affluenza, sempre negli Stati Uniti, di manodopera friulana e italiana non qualificata.
Uno scalpellino a Mount Rushmore - USA
Fra le molte opere illustri di origine friulana all’estero, ricordiamo come i ritratti di quattro Presidenti degli Stati Uniti scolpiti sul Monte Rushmore nel Dakota furono realizzati da scalpellini guidati dal medunese Luigi Del Bianco, capo-scultore incaricato di eseguire i particolari più raffinati e di dettaglio dei ritratti dei Presidenti
(cfr. www.luigimountrushmore.com).
 

Bibliografia

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Spangaro, Francesca 2008, Mûratôr, Montereale Valcellina, Circolo Culturale Menocchio.
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Merluzzi, Franca 2006 (a cura di), Baumeister dal Friuli. Costruttori e impresari edili migranti nell’Ottocento e primo Novecento, Artegna, Associazione Culturale Grop Pignot.
Morassi, Luciana 1997, 1420-1797. Economia e società in Friuli, Udine, Casamassima.
Zanier, Leonardo 2009, Cantîrs, Udine, CEMA.
Scuola d’Arte applicata all’industria di Gemona, 1863-1907, Gemona, Tip. Ditta A. Tessitori, 1907.
Ermacora, Matteo 1998, “Dai cortili alle fornaci. L’emigrazione minorile nella Provincia di Udine (1900-1914)”, in Ce fastu?, LXXIV, 1, pp. 61-92.
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De Toni, Moreno 2010, Chiaulis-Basel A/R. Storie, memorie e soggettività di una migrazione alpina, Tesi di Laurea Specialistica in Antropologia-Etnologia-Etnolinguistica, Università degli studi di Venezia Ca’ Foscari, AA 2009-10.
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Grossutti, Javier 2010, L’emigrazione dal Friuli Venezia Giulia negli Stati Uniti, (cfr. http://www.ammer-fvg.org/_Data/Contenuti/Allegati/ita/storia_USA_Grossutti.pdf).
Tomat, Tiziana s.d., “L’emigrazione friulana in Romania nel XIX e XX secolo”  
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Marinelli, Olinto 1912, Guida delle Prealpi Giulie, Udine, Società Alpina Friulana.



La Cassa Edile ha prodotto per il Museo un Documentario sull’edilizia friulana dal titolo:

A portata di mano.
Volti, luoghi, storie del mestiere.

Realizzato da Nikam Immagine Video, Udine (2014), a cura di Paolo Comuzzi, Andrea Trangoni, Sabrina Tonutti. Il documentario si articola in una serie di video-interviste a lavoratori, imprenditori edili, insegnanti e Direttori di istituti aventi a che fare con l’edilizia friulana. Le tematiche più salienti affrontate sono: la trasmissione del sapere di mestiere ai giovani; come è cambiato il settore edile nel giro di mezzo secolo; l’emigrazione in edilizia; l’evoluzione tecnologica e normativa; storie personali di mestiere; storia delle fornaci; edilizia idraulica; la lavorazione della pietra; il mosaico; la prefabbricazione; tecniche e materiali in edilizia. Oltre alla video-interviste il documentario propone riprese video realizzate ad hoc e una ricca selezione di materiale filmico/fotografico d’archivio.


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