(Leonardo Zanier, “Trasformare il vuoto in pieno”, in Cantîrs)
Quello edile è un mestiere mobile per eccellenza.
Si pensi allo spostamento delle ditte e degli operai da un cantiere all’altro, dove chiama la committenza.
Ma si pensi anche a una mobilità più estesa, quella stagionale che in passato portava tante maestranze locali all’estero, dando origine a vere e proprie catene migratorie, con flussi di persone - spesso descritte come “emorragia” di popolazione locale - da una medesima zona di provenienza verso una comune meta di lavoro.
Infine, significative sono le molte esperienze imprenditoriali di friulani che hanno avviato ditte all’estero, “firmando”, seppur quasi sempre in forma anonima, la costruzione di opere dalla grande visibilità pubblica in ogni angolo del mondo.
I cantieri sono quindi mobili, si allestiscono, si concludono, e si riaprono a seconda delle fasi di lavoro.
E mobili sono le persone, al loro interno: perchè ogni cantiere è temporaneo, essendo questa la sua natura - e perchè nei cantieri affluiscono lavoratori di diverse provenienze. La multietnicità e la multiculturalità dei cantieri sono un fatto noto e rilevante dei nostri giorni: come una moderna babele, il cantiere si anima di diverse lingue, di diversi modi di fare e di saper fare, con intrecci di professionalità e storie di vita che rendono il “qui” una concretizzazione di tanti “altrove”.
PDF dell'articolo di Piero Petrucco Cantieri di diversità
La storia del Friuli, e della sua tradizione edilizia in particolare, ci mette di fronte a cicli alterni di emigrazioni (dei locali, i “nestris”) e immigrazioni ( i “foresti”).
E’ curioso notare come lo straniero, il “forest”, sia una categoria dai confini mutevoli e contestuali. Se andiamo indietro nel tempo alle prime confraternite di mestiere (dal ‘500 al ‘700) e alla loro chiusura nei confronti dei muratori “di fuori”, notiamo come il fuori fosse segnato da confini molto vicini al centro, nel nostro caso Udine: erano forestieri sì i Lombardi, che godevano allora di un’ampia committenza in città, ma anche tutti i muratori dello stesso territorio del Friuli, non appartenenti alla città di Udine. Si pensi, ad esempio, che a inizio ‘700 muratori di Faedis, Mariano, Percoto, Valvasone e Venezia vennero condannati a pagare una sorta di multa per l’esercizio dell’arte muraria a Udine.
Le vicine o contigue regioni della Stiria, della Carinzia, del Salisburghese e della Baviera costituirono mete privilegiate dell’emigrazione dal Friuli nei secoli scorsi. A queste si aggiunsero, dalla seconda metà dell’800, la Germania centro-occidentale e orientale, la Romania, la Svizzera tedesca, la Francia e la Russia. Successivamente, divennero mete condivise di espatrio anche paesi più distanti: Argentina, Australia, Stati Uniti....
“Questo movimento dai nostri paesi prealpini verso l'estero ripete le sue origini fin dall'inizio del secolo XVIII [...] Ma il fenomeno in allora veniva appena avvertito, e non aveva luogo che dove per la povertà del suolo i mezzi di sussistenza mancavano quasi interamente; cominciò a diventar generale e ad avviarsi verso la straordinaria intensità d'oggi [Marinelli scrive nel 1912] quando in Germania, Austria-Ungheria, Francia, Svizzera si dette principio ai grandiosi lavori connessi coll'enorme sviluppo industriale recente di quei paesi. Dopo di allora, nonostante leggere oscillazioni, è venuto via via aumentando fino ad assumere le straordinarie, impressionanti proporzioni di questi ultimi anni. Secondo i dati ufficiali, durante il quinquennio 1895-9 la media annua degli emigranti dalla nostra regione fu la seguente:
Gemona | 5899 | ossia di | 16,21 % | sulla popol. calcolata |
S.Daniele | 5366 | " | 13,01 % | " |
Tarcento | 3282 | " | 10,46 % | " |
Cividale | 1590 | " | 3,54 % | " |
S.Pietro al Natisone | 493 | " | 2,97 % | " |
(Marinelli, Olinto 1912, Guida delle Prealpi Giulie, Udine, Società Alpina Friulana, p. 135).
La vicina Austria fu nell’Ottocento e nel Novecento una delle mete privilegiate sia di emigrazione di maestranze specializzate e non, che di avvio di imprese edili di origine friulana. La presenza di baumeister friulani fu in talune zone talmente cospicua da aver contribuito a forgiare, attraverso l’opera di costruzione di questi impresari, l’aspetto caratterizzante del paesaggio architettonico - come può dirsi, per citare un caso, per Salisburgo (cfr. Merluzzi 2006).
Si trattò di emigrazioni per lo più stagionali verso Carinzia, Stiria, Tirolo in Austria e in seguito anche in Germania, in Baviera e nel Baden-Württenberg, dove molti edili friulani trovarono occupazione soprattutto nel settore delle fornaci
(cfr. Ermacora, www.ammer-fvg.org).
Una delle categorie edili che ebbe a subire le peggiori condizioni di lavoro fu quella dei fornaciai, con il coinvolgimento di donne e bambini nel lavoro in fornace e in stagionali esperienze di emigrazione.
Durante il XIX secolo un flusso cospicuo di lavoratori e lavoratrici, bambini inclusi, lasciò i paesi della pianura, afflitti da una grave arretratezza economica, verso la Baviera e altre regioni dell’Impero. In seguito, la realizzazione di collegamenti ferroviari favorì un incremento e l’intensificazione di questo fenomeno di emigrazione stagionale.
Sempre restando in Austria, uno dei maggiori catalizzatori di maestranze dal Friuli a partire dagli anni ’60 dell’Ottocento fu la ditta di Giacomo Ceconi (1833-1910).
Ceconi nacque a Pielungo (ora provincia di Pordenone), frequentò una scuola serale per operai a Trieste, esperienza che costituirà una solida base di partenza per la carriera. Avviò una propria impresa negli anni ’50, destinata ad ingrandirsi costantemente (e, inseguito, a trasferire la sede a Salisburgo), soprattutto grazie agli appalti per lavori ferroviari che il Ceconi si assicurò nei territori dell’Impero austriaco.
Costruì stazioni in Ungheria, Slovenia, Boemia, Tirolo, fino in Baviera. La sua impresa più importante e certamente di più larga fama su la ferrovia con galleria dell’ Arlberg tra Landeck e Bludenz, sulla linea che collegava Innsbruck alla Svizzera: l’opera, iniziata nel 1879, fu terminata nel 1885, con anticipo sui tempi previsti, e per tale merito l’Imperatore Francesco Giuseppe conferì il titolo nobiliare di “conte” al Ceconi. Si calcola che la manodopera reclutata per la galleria dell’Arlberg raggiungesse il numero di 16.000 persone) (ivi: 62).
Dell’opera resta un importante documento, l’album delle maestranze coinvolte nell’opera.
Della migrazione di lavoratori italiani (e friulani) in Svizzera, uno degli aspetti più tristi e noti riguarda lo stato di emarginazione di cui queste persone, donne e uomini, soffrivano. In questo quadro, però, vanno anche collocate opportunità di formazione professionale (tramite la frequenza di scuole in loco) e di mobilità sociale ascendente di cui hanno beneficiato gli emigranti italiani: ne sono un esempio quei muratori che sono diventati capocantiere, quelle donne che da cuoche e cameriere hanno poi avviato dei negozi in proprio.
Uno spaccato su tali realtà ci è offerto dalla recente ricerca etnografica di Moreno De Toni, riguardante l’emigrazione edile da Chiaulis (Carnia) a Basel, in Svizzera, di cui riportiamo un caso particolare: la positiva presenza femminile in un ambiante tutto al maschile. La cuoca del proprio paese d’origine.
A proposito degli emigranti edili di Chiaulis in Svizzera, scrive Moreno De Toni: “Nel tentativo di limitare il più possibile lo spaesamento, la cuoca paesana era l'indispensabile garante della centralità antropologica dell'alimentazione, della necessarietà del fatto alimentare come fatto sociale, primo e più tangibile elemento che confermasse una minima presenza, anche all'estero, di usanze, ritualità, convivialità, sapori, pratiche alimentari natie”
(De Toni 2010: 106).
Dall’intervista a Mario De Toni (21 Marzo 2009):
Maria De Toni, la cuoca, descrive l'alimentazione a “Casa Basilea”:
Intervista di Moreno De Toni a Maria De Toni, nella sua casa di Duggingen (Basel Land), 30 Ottobre 2009.
Friulani: contadini, emigranti, muratori
Fino agli anni Sessanta a Fagagna (e anche in tutto il Friuli) non vi sono attività economiche che permettano l’occupazione maschile. I giovani contadini non hanno possibilità di espandersi e di crescere, perchè le famiglie lavorano a mezzadria e ancora pochi sono proprietari dei terreni. L’unica via possibile resta quella dell’emigrazione che molti giovani contadini fagagnesi intraprendono soprattutto in questo periodo. Questo esodo di massa si sviluppa nelle sue diverse forme e direzioni, ma dà origine a un singolare fenomeno di emigrazione temporanea europea che privilegia come destinazioni: Francia, Svizzera, Germania. In questi Stati si formano piccole comunità di Fagagnesi che si chiamano a vicenda, e proprio il passaparola è il metodo di scelta delle località, nonchè il motore che spinge i nostri a cercare fortuna lontano dal paese verso località dove sanno di trovare i compaesani, per sostenersi a vicenda. Citiamo tra tutti il gruppo di Fagagnesi riuniti a Neuchâtel che costituiscono una importante comunità di emigranti friulani in Svizzera. Più in generale, ricordiamo come i nostri contadini trovassero facile impiego nel settore dell’edilizia in forte espansione e acquisissero così la pratica di un nuovo mestiere che permetteva loro, una volta rientrati, di avere un lavoro sicuro e anche di diventare capomastri e impresari. Buona parte di questi emigranti, infatti, dopo avere ottenuto ruoli di capocantiere nelle imprese locali, riusciranno a mettere insieme una propria attività anche con dipendenti. Ecco che i contadini-emigranti fagagnesi tornavano avendo imparato un mestiere, come quello del muratore, molto richiesto nel Friuli della rinascita e dell’espansione sociale ed economica, e che gli garantiva una buona qualità di vita. (Testo a cura del Museo della Vita Contadina "Cjase Cocèl” di Fagagna, per la Mostra Muradôrs a Feagne, 2014).Anche la Francia fu una destinazione raggiunta dai migranti edili friulani nei secoli addietro, e anche qui maestranze sia specializzate che non trovarono impiego spesso stabile e di successo. Fra questi casi virtuosi è da ricordare l’esperienza dei mosaicisti sequalesi e dei terrazzieri della zona di Cavasso e Fanna che, raggiunta la Francia, da qui esportarono ulteriormente la propria competenza in altri paesi europei e oltreoceano.
A Sequals (nel 1826) nacque uno dei più illustri mosaicisti friulani: Gian Domenico Facchina, che si spostò prima a Trieste e poi a Venezia, per apprendere le tecniche musive. A Venezia partecipò al restauro di San Marco, e in seguito fu ad Aquileia per la pavimentazione della Basilica. Ma la sua fortuna coincise con il trasferimento in Francia, con il restauro di pavimenti antichi a Monpellier. Si stabilì a Parigi, dove la sua fama crebbe, soprattutto a seguito dell’invenzione di un metodo innovativo e allo stesso tempo economico nella realizzazione di mosaici. Fu qui che l’architetto Charles Garnier gli commissionò la realizzazione delle decorazioni per il Teatro dell’Opera. L’inaugurazione, nel 1875, del teatro suscitò stupore ed entusiasmo nei confronti del lavoro del Facchina e del mosaico in generale, tanto che quest’ultimo fu oggetto di una vera e propria moda del tempo. Molti erano allora i giovani mosaicisti che dal Friuli si recavano in Francia per lavorare con Facchina.
“Sassi trasferiti”.
Su mio padre Beppo, muratore di Venzone emigrato in Francia
Nato nel 1924 a Venzone (UD), Beppo è cresciuto in una famiglia modesta. Da giovane, gli piaceva la scuola, ma a quell’epoca non c’erano molte possibilità di studiare, essendo il più grande dei figli e avendo quindi responsabilità dei fratelli e delle sorelle, dopo i genitori. A lui piaceva la storia, la conoscenza della vita pensata con lo sguardo intellettuale. Ma... con il dovere di famiglia non si scherza.
A 15 anni è andato a lavorare in montagna, il legno l’aspettava presto la mattina. Dopo la guerra, ha deciso di prendere in mano la sua vita ed è tornato a scuola per imparare il mestiere di muratore. Si è impegnato, si è lasciato appassionare dalla magia del disegnare e poi del costruire. Gli piacevano la perfezione della linea e la precisione della matita.Sempre per dovere, ha deciso di proporsi per andare via a guadagnare soldi per la famiglia. L’orgoglio è stato grande quando il prete-insegnante l’ha selezionato fra i migliori studenti, pronti per seguire un ingegnere francese.
Esami, visite mediche, prove, documenti: ha superato tutto e se n’è andato. Racconterà pochi anni prima di morire: “Sul treno che mi ha portato via, ho pianto fino a Venezia. Poi mi sono detto, Summo Beppo! smettila, adesso devi andare, hai un contratto di lavoro e basta!”
Nel 1950, Beppo è stato chiamato della sorella Vighie che aveva seguito il marito a Brest, in Bretagna. Brest era stata bombardata e c’era bisogno di mano d’opera per ricostruirla. All’estero è più facile se si è vicino a un famigliare. Dalla fine degli anni ‘40 c’erano già Friulani a Brest, conosciuti per il mestriere di muratori. Ma non si creda che tra di loro tutti si facessero regali. Molto spesso, all’estero, per sopravivere ognuno deve badare a se stesso! Beppo ha dovuto adattarsi, non si è mai scoraggiato, sapeva stringere i denti e aveva certamente abbastanza orgoglio per lottare e dimostrare che lui - “Macaroni” - sapeva lavorare e anche insegnare agli altri come fare.
Da Brest il datore di lavoro l’ha mandato a Lesneven, piccola città a 25km da lì per la costruzione di case. Da allora, la sua vita è cambiata. Per caso? La vita è strana e l’ha portato a lavorare davanti alla casa di un Napoletano, così che Nord e Sud hanno fatto amicizia. Beppo si è innamorato della figlia di quell’uomo, e non l’ha più lasciata. Si è trasferito a Lesneven, si è sposato e ha cambiato di nuovo di datore di lavoro: un Italiano che si dimenticava spesso di pagare i lavoratori.Nel 1955, stanco della povertà in cui era costretto, nonostante le sue capacità, con moglie e figlio se ne è andato presso Parigi, vicino ai famigliari. Il lavoro non mancava, anzi: lì poteva guadagnare ed essere riconosciuto nelle proprie competenze di capocantiere. Così soffriva di meno del peso dell’immagine di immigrato. Purtroppo, la vita parigina non era per tutti, e sicuramente non per lui, proveniente da un piccolo paese del Friuli, Venzone. Tornato in Bretagna, ha ripreso una vita più modesta, ma piano piano è stato apprezzato per il suo coraggio. Veniva chiamato anche di domenica! Per poter fare mangiare la famiglia accettava tutti lavori. Chi ha letto Les Ritals capirà quali tipi di lavoro.
Ha quindi deciso di costruire la propria casa. Ci sono voluti almeno 7 anni per finire il primo piano, perchè non si compra un bene se non ci sono soldi. Uno straniero non fa debiti. Pietra dopo pietra, stanza dopo stanza, con pazienza è cresciuta questa casa, la ricchezza della famiglia. Una casa solida che non temeva il terremoto, piena di sobrietà e d’amore. Amore per i suoi, amore per il suo mestiere, amore per il suo paese di origine. C’era tutto dentro! Beppo ci ha trasmesso il desiderio di mantenerla per non dimenticare i sacrifici, per mantenere dritti i muri, simboli della dignità dei muratori che hanno lasciato famiglia e paese. Muri duri come la vita ma che non si rompono, come il vero amore.Beppo è morto nel 2007.
Cècile Marguerite SaggiovitzDei numerosi italiani che raggiunsero il Belgio nel primo dopoguerra, per prendere parte alla ricostruzione, molti provenivano dalle regioni settentrionali d’Italia. Questa destinazione divenne presto una delle più presenti nell’orizzonte migratorio dei friulani, che là si recarono per lavorare nelle miniere, in edilizia, nella costruzione di ferrovie.
Si tratta di un’emigrazione in parte organizzata congiuntamente da enti appartenenti ai due paesi (datori di lavoro belgi, da un lato, e, dall’altro, enti come l’Opera Bonomelli in Italia, o, a Udine, l’Ufficio Provinciale del lavoro, nato nel 1908). Ma erano talvolta le stesse industrie belghe a inviare nelle campagne venete e friulane loro incaricati per reclutare manodopera. “Negli anni Venti e Trenta friulani e settentrionali in generale costituiscono il gruppo più numeroso” (Micelli 2012: 28). I friulani lavoravano soprattutto nel settore estrattivo, cioè miniere di carbone e cave di pietra, in cantieri edili (compresa la costruzione di ferrovie), in cementifici e cokerie, negli altiforni siderurgici: tutti contesti in cui dovevano confrontarsi con discriminazioni, condizioni di lavoro difficili, nonchè abusi, come la violazione dell’orario di lavoro. Il secondo dopoguerra segna un accordo fra Italia e Belgio in tema di emigrazione, con la prima che si impegna a inviare manodopera in Belgio per il lavoro in miniera, in cambio di scorte di carbone, calcolate pro capite per ogni emigrato. Anche in questo caso, le condizioni di lavoro e di vita sono durissime, con gravi conseguenze sulla salute (malattie respiratorie, come la silicosi, analizzata da una ricerca del medico Guglielmo Pitzalis in relazione ai problemi respiratori di 300 minatori delle Valli del Natisone che avevano lavorato in Belgio, cfr. Pitzalis 2005) e una triste e lunga serie di incidenti sul lavoro. “Dal 1946 al 1961 le vittime italiane delle miniere sono 820, inclusa la tragedia dell’8 agosto 1956 a Bois du Cazier (Marcinelle) dove periscono 262 minatori in maggioranza italiani (136)”(Micelli 2012: 32-34). Di questi, sette erano friulani.
Collegamento all’articolo del Messaggero Veneto sull’emigrazione friulana di ieri in Romania. Messaggero Veneto - documentari
Bibliografia
A portata di mano.
Volti, luoghi, storie del mestiere.
Realizzato da Nikam Immagine Video, Udine (2014), a cura di Paolo Comuzzi, Andrea Trangoni, Sabrina Tonutti. Il documentario si articola in una serie di video-interviste a lavoratori, imprenditori edili, insegnanti e Direttori di istituti aventi a che fare con l’edilizia friulana. Le tematiche più salienti affrontate sono: la trasmissione del sapere di mestiere ai giovani; come è cambiato il settore edile nel giro di mezzo secolo; l’emigrazione in edilizia; l’evoluzione tecnologica e normativa; storie personali di mestiere; storia delle fornaci; edilizia idraulica; la lavorazione della pietra; il mosaico; la prefabbricazione; tecniche e materiali in edilizia. Oltre alla video-interviste il documentario propone riprese video realizzate ad hoc e una ricca selezione di materiale filmico/fotografico d’archivio.